Medicinali che avvisano le persone che hanno dimenticato di assumerli, piante che segnalano quando devono essere innaffiate, sveglie e caffettiere che suonano e preparano il caffè più tardi se fuori c’è traffico. Sembra un film di fantascienza, eppure queste potrebbero diventare scene di vita comune da qui a pochi anni; il segreto è racchiuso in tre parole: Internet delle cose.

Siamo già abituati ad avere più dispositivi in grado di connettersi ad Internet e di comunicare tra loro, per l’Unione Europea almeno due a persona, computer e smartphone in testa. Questa quota però è destinata a salire a sette entro il 2015 (Avete capito bene, sette a persona),  per un totale di 25 miliardi di apparecchi connessi; la crescita diventerebbe poi esponenziale con un raddoppio nel giro di cinque anni, vale a dire 50 miliardi nel 2020.

Com’è possibile avere bisogno di così tanti strumenti per comunicare con il resto del mondo? Quelli già esistenti e di più recente introduzione (Pensiamo ad esempio ai tablet) non hanno già ampiamente soddisfatto i bisogni dei più dipendenti dal web?

La risposta è semplice: dipende dal tipo di comunicazione.

Ci sono alcune esperienze concrete che sono da molti anni ormai entrate a far parte del ventaglio di attività da poter svolgere virtualmente, pensiamo ad esempio allo shopping online: questo permette al consumatore non solo di acquistare comodamente da casa ma anche di educare il consumatore ad un processo decisionale che parte dall’informazione e il confronto di prezzi e marchi grazie alla rete stessa. Viene a crearsi quindi una sorta di scambio tra le risorse (Portale di e-commerce, siti dei brand e blog di altri consumatori o di settore, nel caso specifico) al fine di migliorare ed inquadrare l’esperienza dell’utente.

Seguendo lo stesso percorso logico lo scambio di informazioni utili si può applicare agli oggetti che scandiscono la nostra vita ogni giorno, basta inserire dei chip intelligenti all’interno degli elettrodomestici e collegarli attraverso una rete wireless, in modo che possano rilevare e condividere dati, comunicarli a terzi soggetti ma anche agire autonomamente in risposta alle informazioni ricevute. Ecco allora che, se tra dieci anni dimenticassimo di chiudere una finestra, sarebbe “la casa” stessa ad avvisarci tramite Smartphone, e se la nostra macchina avesse un guasto lei se ne accorgerebbe prima di noi diagnosticandosi da sola il danno durante uno dei suoi abituali check-up di automanutenzione.

L’Internet delle cose ci porterà quindi a digitalizzare ambiti sempre più privati della nostra esistenza, con conseguenze di vario tipo:

a livello personale, questo sistema integrato permetterà all’individuo di agire con più tranquillità e sicurezza, ma anche di essere più direttamente osservabile (Pensiamo già adesso quanto il privato è diventato pubblico grazie ai social network);

per le aziende sarà un’opportunità in più per raccogliere dati importanti a fini del targeting, per individuare cioè con più precisione quali potrebbero essere i propri potenziali consumatori da “colpire” con comunicazioni pubblicitarie ed offerte ad hoc.

Si tratta di un passaggio delicato, che senza le dovute garanzie per gli utenti ne potrebbe minare la sicurezza e la privacy; è quindi importante iniziare a parlarne subito e interpellare direttamente chi verrà investito da questo processo innovativo, vale a dire le signole persone. Per questo motivo la Commissione Europea è aperta a proposte e suggerimenti su come far andare di pari passo sviluppo tecnologico e rispetto dei diritti individuali; i cittadini dei Paesi Membri hanno tempo fino al 12 luglio 2013 per dire la loro.

Se Internet è di tutti, è nell’interesse di tutti pensare a come potrà aiutarci nella gestione della nostra vita in futuro, senza avere la sensazione di essere noi quelli davvero gestiti dalla rete.